Il portiere di calcio Albert Camus
Una nuova Pillola di gioia dedicata allo sport, realizzata in collaborazione con Uispress, agenzia stampa settimanale dell’Uisp. Emanuele Santi, autore de Il portiere e lo straniero edito da L’asino d’oro nel 2013, ci legge una pagina del suo romanzo. (il testo segue dopo il video)
“Se Albert Camus non avesse giocato in porta quand’era ragazzo non avrebbe mai scritto Lo straniero in quel modo fantastico. O meglio ancora: Albert Camus ha scritto Lo straniero in quel modo fantastico perché, da ragazzo, ha giocato in porta.”
Intorno a questa idea Emanuele Santi ha prima viaggiato sulle strade labirintiche di Algeri e dintorni poi ha scritto questo romanzo intrigante, coinvolgente e appassionante.
Santi non è un accademico, né un critico letterario, né un giornalista o uno scrittore di professione. E’ una persona straordinariamente curiosa, capace di infilare lo studio, la ricerca e la passione per il racconto e per lo sport negli interstizi del suo lavoro di aeroportuale turnista.
Letteratura e sport sembrano appartenere (per l’antico vizio di separare corpo e mente) a due mondi diversi, inconciliabili, senza vie di comunicazione tra loro. Tranne a chi vive dentro di sé la passione per l’uno e per l’altro e comprende quanto la pratica sportiva possa incidere sulla formazione e sugli strati più profondi dell’inconscio e della personalità.
Non c’è forse testimone più attendibile di Albert Camus, che nel 1957, anno del suo Premio Nobel, aveva scritto su France Football: “Dopo tanti anni in cui il mondo mi ha concesso molte esperienze, ciò che so con maggiore certezza sulla moralità e sul dovere lo devo al calcio”.
La citazione era assai nota, ma solo Santi l’ha inseguita con il fiuto e la costanza di un ricercatore per portare alla luce le tracce dell’esperienza di giovane portiere di calcio sulla costruzione narrativa e la scrittura di Camus. In particolare su uno dei suoi capolavori, Lo straniero.
Lo sguardo di Santi è ampio, una visione aerea che parte dalle origini della conquista coloniale francese dell’Algeria, nel 1830, e ci conduce attraverso i luoghi dove il piccolo Albert nacque e crebbe, orfano di guerra, in una famiglia povera, con la sua “fame di mondo”. La passione per il calcio lo nutre fin da piccolo e lui si esprime subito nel ruolo che gli è più congeniale, quello del portiere: solo come lo scrittore, “nella condizione necessaria – scrive Santi – di osservare il mondo da un altro punto di vista […] con uno spazio da difendere, a mani nude, le stesse mani dello scrittore, quelle che vorrebbero rispondere agli impulsi del cervello e, invece, il più delle volte vanno da sole, con la memoria dei movimenti imparati e con l’istinto di sopravvivenza”. L’autore segue il percorso dell’adolescente Albert, parallelo a quello del calcio algerino alla ricerca dell’indipendenza dallo sport francese, dove Camus diventa, alla fine degli anni ’20, portiere nella formazione juniores e gran tifoso del RUA d’Alger, terza squadra nazionale. Il romanzo racconta la sua impresa sportiva di “mettere in angolo” la tubercolosi a 17 anni e poi il suo volo verso l’impegno filosofico, politico, letterario, con occhio inguaribilmente appassionato per lo sport e per i grandi portieri.
Emanuele Santi, che si fa lui stesso personaggio tenero e un po’ impacciato del romanzo, cerca nella Casbah le tracce della casa, del liceo e del campo sportivo, vede i bambini algerini “liberi con la palla tra i piedi” come i compagni di Albert negli anni ’20. E comprende, come in un’illuminazione a lungo inseguita, che lo scenario del momento cruciale de Lo straniero, con il protagonista Meursault che uccide un arabo con quattro colpi di pistola, è identico a quello del piccolo campo di calcio dove giocava Albert bambino. E che la scena si può leggere, senza dubbio, come una cronaca incalzante di un’azione di calcio dal punto di vista del portiere, con tanto di terzini davanti a sé, che non riesce a difendere la sua porta dall’attacco avversario.
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